Anastasia e Genoveffa avevano una ambizione un sogno: entrare a palazzo reale come spose del principe e prendere il loro desiderato posto nel regno. Vi prego di sospendere il giudizio su buono e cattivo perché se fossero simpatiche non è affar nostro e se avessero un buon carattere poco ci importa. Ma era forse un sogno insognabile? In fondo tutte le ragazze del regno volevano sedere a fianco al bel principe.
Poi arriva la scarpetta.. non calza.. e però per realizzare il sogno, bisogna che entri per forza. O bisogna leggere i fatti, e mollare la presa.
Noi funzioniamo proprio così. Quando le parole e i fatti, forma e sostanza, non ci combaciano, forziamo i fatti perché calzino con le belle parole, quando sarebbe più utile il contrario. Perché? Perché la comprensione è logica e dalla ragione vengono le parole; i fatti vanno interpretati con significati personali, sono esperienziali , “di pancia” fanno parte del segmento emotivo; il nostro cervello premette spesso un “ti sbagli” a quel che razionale non è.
Veniamo a me e vi racconto una esperienza col mio ingegnere, l’UGM (uomo geneticamente modificato) che è ancora vivo e vegeto, e da ben sei mesi, a modo suo dimostra impegno.
A modo suo.
Questa è la parola chiave di oggi.
Dopo 20 anni di matrimonio con un uomo di pura facciata, e consapevole che in 20 anni la facciata se rifa’ pure ai palazzi - figuriamoci alle relazioni; che anche i migliori intonaci sono quelli che se ne vanno - figuriamoci chi migliore non è, mi sono ritrovata non solo senza sostanza - che mai c’era stata, ma pure senza forma.
Mio nonno diceva che chi tutto mostra poco ha.
Era un uomo saggio mio nonno.
E chi poco ha? Figuriamoci!
Mostrato quel poco.. gli resta nulla.
E infatti.
Questo fallimento relazionale mi ha dimostrato due cose: la prima che quel poveraccio del mio ex mi ha dato quel che aveva: ovvero poca roba, discontinua. Ma più non ce ne era e non posso fargliene una colpa.
La seconda che a me piace la forma - che mi dichiara che sono amata e non solo pensata; ma ho bisogno della sostanza, che mi permette di mettere radici.
La forma sono “chiacchiere e distintivo”: fiori , frasi, ricchi premi e cotillons, quelle cose che fanno l’amore romantico.
La sostanza sono la dimostrazione pratica di chi hai di fronte, e questa è per altro la più importante e la più difficile da accettare. Perché solo sulla sostanza (la scala valoriale, come tratta la famiglia , dove sei tu sul suo sistema di priorità, la sua indole senza te e l’attitudine quando non è in pubblico) solo su questo puoi mettere radici o scegliere di trapiantarti altrove.
Scegliere, sempre.
Se resti lo vuoi tu, se vai lo vuoi tu.
Io ho bisogno di sostanza, ma sono una donna e la forma rappresenta un modo di fare le coccole, che a me fa stare bene perché quando non convivi e ti vedi due volte a settimana a lungo andare ti manca tutto.
Veniamo ad oggi.
Mi sono tenuta e mi sto tenendo un ingegnere che per definizione non brilla per forma, sennò era un architetto.
Ma questo non significa non conosca la forma. Senza contare che di certo mostra impegno.
Mi ha chiaramente detto qualche giorno fa, che dirmi “ti amo” non se la sente.
Me lo ha detto gratuitamente non perché gli abbia detto io “ti amo”.
Chiama amore quello che prova per la figlia il resto non riesce e lo manda in confusione. Però mi vuole un bene infinito (parole sue) ha una enorme stima nei miei confronti.
Mh. Penso io. Particolare. Poi osservo. È lo stesso che mi dice “sei seconda solo a mia figlia, sei il mio primo pensiero, voglio fare le cose per bene con te”, ed anche “voglio restare con te più a lungo possibile” (perché “per sempre” è come l’amore: eccessivo.) Questa è forma.
E poi le cose che fa coincidono con quelle che dice.
Questa è sostanza.
Ha attuato cambiamenti nei comportamenti che a me davano noia. Fa cose pratiche come avere dei pensieri inattesi o farmi delle sorprese solo per vedermi pochi minuti perché a me piace anche se nella sua indole c’è solo il “momento perfetto”.
Vedo molti gesti che io classifico “gesti di amore” lui che va in pappa alla parola amore classifica come “gesti di ti voglio bene”.
Li chiamo gesti di amore e sono molto presa dal mio ingegnere. Mi ha fatto male la dichiarazione “non ti amo” perché le verbalizzazioni hanno sempre un che di presa di posizione; ma per quanto non lo avrei dichiarato, sono onesta: non potrei dirgli un ti amo neanche io .. se me lo avesse detto mi avrebbe messa in difficoltà, forse per onestà avrei dovuto rispondere “grazie”...
A me sta parola si strozza in gola.
I brividi quando lo vedo ce li ho solo se fa freddo e se sento una stretta allo stomaco è perché sono digiuna da ieri.
Sono una disillusa, i film li vedo in tv, non me li faccio.
E di tv ne vedo molto poca: per lo più film di azione. Fatevi due conti.
Penso sinceramente che spesso corriamo dietro alle parole e queste ci annebbino i fatti. Così per una questione di dissonanza cognitiva cerchiamo piuttosto di far coincidere le parole con presunti collegamenti fattuali reinterpretati.. come nella favola di cenerentola, con la scarpetta di cristallo provata dalle sorellastre: togli un pezzo qui, togli li..poi calza..
Cominciamo piuttosto ad analizzare cosa voglio e poi devo avere il coraggio di chiedermi se mi piace quel che ho correlandolo a quel che voglio.. perché calzi senza forzature.
Ho quello che voglio?
A me i fatti dicono che ho per le mani una relazione in piedi da solo sei mesi che dimostra di voler crescere, tra due disillusi molto quadrati che hanno bisogno di tempo ma si stanno impegnando.
E a me questo sta bene e piace. Quindi si.
La domanda per voi regine è: quel che avete è quel che volete, nei fatti?
Riuscite a far coincidere il piano teorico- verbale a quello pratico- di realtà? Cioè la sostanza e la forma vanno insieme?
E per quanto dura o penosa possa essere la risposta, ascoltatela e traete le vostre conclusi consapevoli.
Poi sorridete regine, la vita è bella.
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